Un confronto con Jonathan Pacifici, General Partner di Sixth Millennium VP e Wadi Ventures
Il Venture Capital: caratteristiche
È ormai in crescita esponenziale un segmento del mercato degli investimenti alternativi i cui operatori, i cosiddetti “Venture Capital Fund”, si sono specializzati negli investimenti in start-up. I Venture Capital sono fondi che investono in capitale di rischio di start-up o aziende che si trovano nella loro fase di vita iniziale e presentano un modello di business non ancora consolidato. Questi, tendono a subentrare nell’azienda acquistando una quota di minoranza. L’orizzonte temporale di investimento è compreso in media tra i 5 e i 10 anni e hanno un IRR compreso tra il 30-50%. La maggior parte delle start-up in cui investono è caratterizzata da un’elevata probabilità di fallimento (circa tre quarti di esse non superano il primo anno di vita). Tuttavia, gli introiti che gli investitori ricevono dalle start-up di successo, sono sufficienti a coprire le perdite subite dalle imprese fallite in cui avevano investito.
I Fondi di Venture Capital non investono direttamente le proprie risorse finanziarie, ma piuttosto ciò che raccolgono dai fondi istituzionali quali banche, assicurazioni, enti previdenziali, ecc. Il loro scopo è quello di realizzare un guadagno laddove le altre istituzioni non investono a causa del rischio elevato di fallimento.
A differenza degli investitori formali come banche o privati, il rapporto tra Venture Capital e start-up non è meramente economico e limitato alla risoluzione del credito-debito. Il Venture Capital, infatti, al pari dei business angel, entra direttamente nella gestione e nelle decisioni della start-up come proprietario, per assicurare il raggiungimento degli obiettivi proposti. Il contributo, quindi, sia di tipo economico che strategico, grazie all’esperienza accumulata durante una carriera in precedenti progetti di investimento.
Alla fine del percorso, quando l’azienda è solida e presenta buoni livelli di crescita, è in grado di proseguire autonomamente specialmente grazie ad un valore di mercato tale da garantire un buon margine rispetto all’investimento iniziale. A questo punto, il Venture Capitalist effettua l’exit vendendo le proprie quote a un acquirente industriale o finanziario e reinveste parte degli utili in nuove start-up da consolidare.
Venture Capital nel mondo e i record made in Israele
Il mercato del Venture Capital ha ormai raggiunto dimensioni ragguardevoli. A livello globale, nel 2021 gli investimenti in Venture Capital hanno sorpassato $600 miliardi, in aumento rispetto all’anno precedente, ottenuto grazie ad un’ottima performance su tutte le aree geografiche.
In particolare, risultati sorprendenti sono stati ottenuti in Israele. Le imprese fintech Israeliane nel 2021 hanno raccolto $2,6 miliardi in investimenti di capitale di rischio. Tale somma rappresenta un incremento del 146% rispetto al capitale raccolto nel 2020, con un numero di round in aumento del 28%. Oggi Israele, grazie agli ingenti risultati raggiunti, è soprannominata “il Paese degli unicorni”, soprannome utilizzato per indicare imprese innovative non quotate che presentano un enterprise value di almeno $1 miliardo. Nel 2020, 15 imprese israeliane hanno raggiunto questo traguardo, e aggiunte alle 30 già presenti rappresentano il 10% degli “unicorni” a livello globale.
Questo trend è stato riconfermato nei primi mesi del 2021: ben 6 start-up hanno ottenuto finanziamenti per un totale di $1,44 miliardi, una cifra che, raccolta in un solo mese da un Paese che conta appena 9 milioni di abitanti, fa segnare un nuovo record senza precedenti.
Un confronto con USA e Italia
USA
Gli Stati Uniti rappresentano il più grande mercato di Venture Capital a livello mondiale. Nel Q2 del 2021, gli investimenti in Venture Capital in USA hanno raggiunto un altro record in termini di valore totale di deal effettuati, superando la cifra raggiunta nel quarter precedente. In particolare, sono stati investiti $75 miliardi attraverso 3296 deal, la cui dimensione media di Series D+ supera i $100 milioni.
Secondo i trend legati agli USA, gli investimenti in Venture Capital viaggeranno ad altissimi livelli anche nei quarter successivi, in particolare in settori come il fintech, l’automotive e l’intelligenza artificiale. Date le problematiche identificate in ambito supply chain globale a seguito del blocco della nave Evergreen nel canale di Suez, potrebbe crescere un interesse da parte degli investitori anche per quanto riguarda soluzioni logistiche innovative. Inoltre, è prevista una crescita degli investimenti in agritech e foodtech, in particolare per quanto riguarda innovazioni su packaging e delivery.
È importante ricordare che le IPO negli Stati Uniti hanno continuato a raggiungere nuovi picchi: sono sempre di più le aziende che si preparano alla quotazione sul mercato pubblico.
E’ stato osservato che le valutazioni negli Stati Uniti e il capitale proveniente da svariate fonti continua ad essere in crescita. Ciò permette una grande flessibilità per le aziende che maturano, ad esempio, la capacità di effettuare un later-stage round e ritardare la potenziale IPO.
Da sottolineare inoltre la sempre maggiore attenzione da parte di investitori di VC nei confronti della produzione legata ai veicoli elettrici: ad esempio, è di grande interesse lo sviluppo di soluzioni di carica che permettono ai veicoli di essere ricaricati mentre i proprietari sono a lavoro o nei supermercati.
ITALIA
L’Italia si sta dirigendo verso un traguardo senza precedenti: per il 2021 l’obiettivo è quello di raggiungere il miliardo. L’unico problema resta legato alle dimensioni degli investimenti in VC negli altri Paesi europei (si pensi che la Francia ha chiuso l’anno precedente toccando la soglia dei due miliardi di Euro).
Secondo l’AIFI, gli investimenti in innovazione sono aumentati in modo ragguardevole, anche per via della pandemia. L’hi-tech, il digital e l’healthcare sono i settori in cui i Venture Capital stanno investendo di maggiormente. L’Italia segue questo trend, seppur a livelli più bassi rispetto ad altri Paesi, ma a livello di variazioni percentuali i tassi non sono poi così lontani rispetto ad altre nazioni europee. E’ stato stimato infatti che nel 2021 l’Italia dovrebbe raggiungere la soglia del miliardo di Euro, più del rispetto al 2020. E’ importante pertanto sviluppare apposite politiche che incentivano questa tipologia di investimenti.
L’affermarsi di Israele come il Paese degli unicorni: la visione di Jonathan Pacifici
Il nuovo modello economico che Israele presenta è quello della cosiddetta “economia della conoscenza”. Ritiene che questo nuovo paradigma offra al paese un vantaggio competitivo duraturo? Basarsi esclusivamente sul settore dei servizi è il punto di partenza per costituire un’economia resiliente agli shock esogeni (e.g. crisi della supply-chain)?
È una formula che ha funzionato molto bene in Israele, facendo emergere il paese in maniera strabiliante negli ultimi venti anni. Chiaramente non è detto che sia una ricetta adatta ovunque. Ci sono paesi nei quali il peso del comparto industriale resterà significativo. Eppure, è ormai chiaro che la tecnologia, il sapere ed in generale quello che chiamiamo “knowledge economy” sarà sempre più un generatore di valore e quindi di ricchezza. Un esempio: le 85 società israeliane quotate a Wall Street – quasi tutte società tech – hanno raggiunto una capitalizzazione di $300 miliardi. Secondo il quotidiano Calcalist ci sono circa 200,000 famiglie di dipendenti di società tech che detengono azioni ed opzioni per circa $35 miliardi. Questa ricchezza evidentemente entra in circolazione poi nel paese e spiega il boom edilizio (assieme al forte tasso di natalità) e quello dei consumi in generale. Uno dei grandi benefici di questa impostazione economica è la flessibilità che, come abbiamo imparato negli ultimi due anni, è fondamentale per superare le crisi.
Israele rappresenta un mercato di forte interesse per le imprese che operano nei settori del life science e dell’ICT. In che modo le amministrazioni hanno favorito lo sviluppo di queste competenze? Ritiene possa essere un modello replicabile e sviluppabile in altre aree?
In Israele, come negli Stati Uniti ed in altri hub, il peso dello Stato nella crescita del settore tech è marginale. Certo, lo Stato fornisce un framework con delle regole chiare, una fiscalità (quasi) sostenibile e contribuisce con un sistema scolastico, universitario e militare di assoluta eccellenza. In alcune fasi lo Stato è stato fondamentale per attrarre investimenti attraverso sconti fiscali (come nel caso di Intel) o altre agevolazioni (il caso del fondo Yozma). Detto questo il merito del fenomeno startup nation è tutto degli imprenditori e dell’ecosistema finanziario, tecnologico, e professionale che li circonda. Sono gli imprenditori, con la loro capacità di creare valore e ricchezza che hanno costruito il modello. Le amministrazioni oggi cavalcano un maggiore gettito fiscale e fanno un discreto lavoro nel migliorare ciò che loro compete: le infrastrutture ed il framework giuridico e fiscale.
Qual è il ruolo dei capitali terzi nello sviluppo delle infrastrutture e delle aziende israeliane? Vi è un grande influsso di capitale finanziario all’interno del Paese? Con quali modalità stanno avvenendo questi investimenti e chi sono i principali finanziatori dello sviluppo economico del Paese?
Il comparto tech è alimentato dal mondo del Venture Capital. Oggi Israele è uno degli snodi mondiali di questo settore. Sono presenti tutti i grandi nomi del pianeta, in primis i fondi americani che sono qui con veicoli dedicati, uffici ed ‘antenne’. Questi affiancano molti fondi israeliani che però a loro volta hanno LPs (investitori) soprattutto stranieri: istituzionali, family office e HNWI. Negli ultimi anni è incrementata molto la presenza asiatica con investimenti cinesi, spesso più focalizzati al comparto industriale ed alle infrastrutture. L’Europa in generale (l’Italia in particolare) è fortemente sottorappresentata.
L’anno nero della pandemia ha segnato un record di investimenti nell’hi-tech israeliano, con un incremento del oltre 20% rispetto al 2019, sorprendente se paragonato a quello degli Stati Uniti (5%) e dell’Europa (1%). In che modo Israel Innovation Authority ha contribuito a questo successo? Ritiene che nel 2021 il mercato VC israeliano manterrà questo trend di crescita?
È vero, il 2020 si è chiuso con poco più i 10 miliardi di investimenti in tech con un incremento di circa il 20%. Non solo il trend prosegue, ma anzi accelera. Il 2021 ha visto una raccolta di $ 12 miliardi nel primo semestre, proiettando il mercato verso il raddoppio.
Gli artefici di questo successo, di nuovo, non sono i burocrati dell’Innovation Authority, che per altro a causa del prolungarsi della crisi di governo solo recentemente conclusa, sono stati per due anni nell’incertezza generata dalla mancata approvazione della finanziaria. La crescita degli investimenti, piuttosto, va di pari passo con il successo delle società e la realizzazione di exit straordinari – tra cui decine di nuovi “unicorni” – che hanno alimentato l’appetito degli investitori. Nel nostro piccolo devo dire che stiamo notando in questo senso un forte incremento di interesse verso il nostro nuovo veicolo, Sixth Millennium Venture Partners, anche sull’onda del successo dei nostri precedenti investimenti.
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