Un confronto con Niccolò Filippo Veneri Savoia, Founder e CEO di Look Lateral

Arte come forma di investimento alternativo

All’interno della categoria più generale degli investimenti alternativi e, in particolare dei Real Assets, troviamo la sottocategoria dei “Passion Investments”. Questa tipologia di investimenti riguarda oggetti verso cui molti investitori, oltre ad aspettative di rendimento, nutrono un particolare interesse personale, come per esempio automobili, orologi, vini e, appunto, opere d’arte.

Figura 1: Una possibile suddivisione degli investimenti alternativi

Il mercato dell’arte è cambiato molto nell’ultimo ventennio. In particolare, l’avvento di Internet e del canale online ha dato un nuovo impulso alle aste di settore, che hanno raggiunto valutazioni record grazie alla maggior visibilità. Questo trend è stato esacerbato nel 2020, anno nel quale, per via della pandemia, le aste da remoto sono diventate forzatamente la nuova norma. Christie’s, Sotheby’s, Phillips e tutte le maggiori case d’asta hanno conosciuto una crescita a tre cifre del fatturato derivante da vendite online, allargando la partecipazione a numero maggiore di persone da più Paesi. In particolare, Christie’s ha consentito un’asta contemporanea su 4 piazze diverse: Hong Kong, New York, Parigi e Londra. Sotheby’s invece ha dismesso la produzione di cataloghi fisici e implementato tecnologie di tour virtuali in 3D per visionare le opere. Infine, alcuni vendors, hanno addirittura proposto le prime offerte “online only” ovvero senza la presenza di un’asta, anticipando un primo processo di disintermediazione. Sebbene la crescita del canale online non abbia completamente assorbito le perdite relative al canale fisico, ha sicuramente mostrato le potenzialità future del digitale nel mercato dell’arte.

A questa realtà in rapido cambiamento si affianca quella delle gallerie d’arte, storicamente l’intermediario principale del mercato ma anche il più tradizionalista. Già prima della pandemia queste manifestavano una scarsa tendenza all’innovazione e una bassa crescita; si pensi nel 2017 secondo l’Art Market Report: Online Focus di TEFAF circa il 40% delle gallerie operava esclusivamente offline. Sempre a tale data, il 30% delle Gallerie operava in perdita. Il 2020 non ha fatto altro che peggiorare la situazione. Le gallerie infatti, utilizzano come canale principale di vendita le fiere, per definizione un canale fisico. Delle fiere d’arte previste per il 2020 solo il 37% si è svolto normalmente, mentre per il 61%, l’unica soluzione è stata la cancellazione. Solo il 2% delle fiere ha optato per un evento ibrido o alternativo, dato in forte contrapposizione con quelle aste che hanno saputo dare un forte impulso al canale ibrido.

Se questo è il quadro con riferimento al lato offerta e intermediazione, sono avvenuti dei cambiamenti anche nel lato domanda. L’aumento della popolazione “Ultra high Net Worth” (UHNWI) a livello globale (in particolare in USA e Cina) ha contribuito alla maturazione del mercato, sostenendo la domanda e quindi le valutazioni. A ciò si collega il fatto che oggi, l’arte, non rappresenta più esclusivamente un bene di cui usufruire per il proprio piacere personale, ma sta divenendo sempre più un asset class apprezzata da parte di investitori facoltosi. Le motivazioni sono principalmente da ricondurre alla forte decorrelazione rispetto ai public markets (e addirittura verso gli altri asset alternativi) oltre che alle buone performance se rapportate alla bassa volatilità dell’asset class. Come si può notare dalla figura 2, questi benefici valgono per indicatori del mercato generale come l’Artprice Global. Indici più specifici come l’Artprice 100, che replica l’andamento del prezzo delle opere dei 100 maggiori artisti al mondo, hanno una volatilità più elevata e una correlazione nettamente maggiore con l’azionario ma in cambio permettono rendimenti tendenzialmente più consistenti.

Figura 2: Variazione annuale, Gennaio 2000 = 100. Fonte: Artmarket.com

Il risultato complessivo di questi trend è che, secondo il principale studio in materia, realizzato annualmente da Art Basel e UBS (“The Art Basel and UBS Global Art Market Report”) nel decennio compreso tra il 2009 e il 2019, le transazioni in opere d’arte sono incrementate del 62% e il loro volume globale ha raggiunto la soglia di $64,1 miliardi. I tre mercati con i maggiori volumi di scambio sono gli Stati Uniti, il Regno Unito e la Cina, e nonostante abbiano subito un calo di vendite nel 2020, continuano a generare l’82% delle vendite d’arte globali.

Figura 3: Ripartizione del mercato d’arte in valore per Paese. Fonte: “The Art Basel and UBS Global Art Market Report” (2020)

Il mercato potenziale globale, inteso come la capitalizzazione di mercato delle opere in mano a privati, è però di gran lunga maggiore; le stime variano da 1600 miliardi di dollari per le più conservative fino a 3500 miliardi di dollari per le più ottimistiche. (“Why should art be considered an Asset class?” Deloitte Luxembourg (2015) )

La forbice tra il mercato totale e i volumi di scambio può essere ricondotta principalmente a due fattori:

  • non tutti gli acquirenti di opere d’arte sono investitori, bensì possono dei meri appassionati che non intendono vendere l’opera nel breve termine.
  • più rilevante ai fini del nostro ragionamento, vi è senz’altro un mancato incontro tra domanda e offerta per via dei rischi che l’investimento in opere d’arte comporta. Tra i principali citiamo problemi di autenticazione e provenienza, manipolazione dei prezzi, conflitti di interesse e mancanza di trasparenza, costi elevati, incertezza della valutazione e trend di breve durata, bassa liquidabilità dell’investimento.

Perché il mercato dell’arte si sviluppi e raggiunga il proprio massimo potenziale, è dunque necessario trovare delle soluzioni che permettano di eliminare o ridurre queste criticità. Proprio la tokenizzazione offre soluzioni concrete ed efficaci per quasi tutti i rischi citati.

La tokenizzazione

La “tokenizzazione” è un processo tramite il quale un asset o un diritto verso un bene (anche intangibile) viene convertito in un token digitale registrato su una blockchain.

La blockchain è una sorta di registro digitale nel quali le informazioni sono raggruppate in “blocchi” ordinati cronologicamente e collegati tra loro mediante l’uso della crittografia. Questa struttura è condivisa e immutabile. Condivisa nel senso che si tratta di un registro pubblico e trasparente, in cui ognuno può accedere ai dati iscritti. Immutabile nel senso che, una volta scritti, i dati non possono essere retroattivamente alterati.

Una differenza chiave tra la blockchain e un qualsiasi altro database digitale è la sua decentralizzazione. Non esiste uno storage in un luogo specifico delle informazioni scritte nella blockchain e non esiste alcuna autorità centrale che la controlli. Ogni soggetto ha una copia delle informazioni contenute nella blockchain e le transazioni vengono approvate collettivamente tramite l’utilizzo di programmi specifici. Questo fattore è alla base della sicurezza intrinseca delle blockchain.

Attraverso questa tecnologia è quindi possibile convertire la proprietà relativa a un asset in “gettoni digitali” iscritti all’interno di una blockchain come singoli blocchi di informazioni. Questi “gettoni” vengono chiamati NFT (“Non-fungible token”). Si tratta di token non fungibili, ovvero non reciprocamente scambiabili al contrario di altri asset digitali come le criptovalute. Un certo NFT è unico e dunque non è direttamente comparabile con un altro NFT.

Figura 4: Schematizzazione del processo di tokenizzazione di asset fisici.

Alcuni vantaggi fondamentali della tokenizzazione, derivanti dalla tecnologia blockchain, sono:

  • tracciabilità storica completa delle transazioni relative all’asset. Di riflesso ciò offre una garanzia sulla provenienza e l’autenticità dell’opera e consente una trasparenza assoluta con riferimento al possessore dell’opera in ogni momento storico.
  • Possibilità di frazionare la proprietà dell’asset. Ciò consente l’accesso a investimenti in arte, in precedenza riservata esclusivamente ad investitori UHNWI, ad individui con patrimoni minori. Permette inoltre orizzonti di investimento più brevi.
  • Eliminazione della necessità di intermediari quali le gallerie d’arte o le società d’aste. Il token relativo all’asset, infatti, viene scambiato direttamente tra individui su un exchange. Questo permette minori costi, maggiore liquidità e conseguentemente lo sviluppo di un mercato secondario maggiore

La tokenization applicata all’arte: la visione di Niccolò Filippo Veneri Savoia

Come ritiene che la blockchain e la tokenizzazione possa migliorare il mercato dell’arte? Quali limiti, che caratterizzano il mercato dell’arte, questa tecnologia può superare (conflitti di interesse, mancanza di trasparenza, manipolazione dei prezzi etc.)?

La blockchain, tecnologia strettamente collegata al concetto di trasparenza, è uno strumento straordinario per contrastare l’opacità spesso presente nel mercato dell’arte, favorendo conoscenza e accessibilità a documenti, informazioni e dati, permettendo così una maggiore fruizione, e un maggior controllo, da parte di un pubblico più vasto.

Un altro aspetto tecnologico molto importante è lo smart contract, attraverso il quale è possibile tokenizzare un asset, in questo caso l’opera d’arte: sia suddividendo l’opera in piccole frazioni, sia creando prodotti finanziari digitali legati all’opera d’arte, tutto questo in modo semplice, veloce e sicuro.

Queste soluzioni tecnologiche riducono inoltre le alterazioni e le discrepanze tra il valore dell’opera e il prezzo di mercato, riducendo le manipolazioni dei prezzi.

Ritiene che la percezione dell’arte come asset class dopo la tokenizzazione abbia acquisito una maggiore visibilità e una maggiore accessibilità da parte degli investitori all’interno degli alternativi?

Siamo ancora all’inizio; è un processo in divenire, ancora in fase di studio, che però in questi anni ha già offerto spunti e discussioni rilevanti che hanno coinvolto diversi soggetti. Già in questa fase si denota un notevole interesse per la possibilità di investire in modo nuovo e sicuro in un asset class che ha dei rendimenti molto positivi.

Le ragioni che spingono l’investitore retail e l’istituzionale sono le stesse: è un asset su cui diversificare. L’investitore istituzionale agisce più a medio-lungo termine, mentre l’investitore retail, come può essere il crypto-investor o il trader, può considerare questo asset anche come attività da trading nel breve periodo.

Vista la crescente tendenza alla tokenizzazione e alla popolarità dei crypto assets durante la crisi pandemica, ha percepito un incremento di players e della clientela all’interno dell’asset class dell’arte?

La situazione pandemica ha sicuramente posto le attenzioni su questi temi ed accelerato certi processi velocizzando l’adozione di strumenti digitali in tutti i mercati.

A causa delle limitazioni, la maggior parte delle persone ha avuto più tempo, motivazioni ed esigenze per informarsi e comprendere le innovazioni in ambito tecnologico-digitale.

In concomitanza della crisi pandemica si è verificata una crisi economica, tutt’ora presente, durante la quale si cercano i cosiddetti “recession proof asset”, e l’arte è sicuramente uno di questi.

Infine, la pandemia nel mercato dell’arte ha causato una grande mancanza di liquidità da parte degli operatori che non hanno potuto svolgere le loro consuete attività (fiere, mostre, ecc…) portando ad un crescente bisogno di nuove soluzioni. Credo che trattare questo asset class in modo finanziario sia la soluzione ideale per entrambe le parti: da un lato i proprietari di opere d’arte possono finalmente accedere a nuova liquidità e nuovi investitori, dall’altra parte investitori di ogni genere possono finalmente diversificare in arte in modo semplice e sicuro.

Secondo lei l’enorme popolarità acquisita dagli NFT non rischia di impattare negativamente la percezione che il pubblico ha sull’arte tokenizzata?

Look Lateral e Fimart sono stati fra i primi al mondo a lavorare sul concetto degli NFT sin dal 2016. Onestamente non mi aspettavo un’esplosione simile e l’hype attorno agli NFT non sempre è giustificato. Vi spiego perchè.

Una prima categoria di NFT è relativa alle opere d’arte che nascono digitali, appunto su NFT, cioè siamo di fronte ad un’opera d’arte che al posto della tela o carta ha come supporto questo mezzo digitale. In questo caso l’NFT diventa a tutti gli effetti un nuovo media, che suscita maggior interesse dal punto di vista curatoriale più che finanziario. A questo proposito mi viene difficile giustificare prezzi elevati per artisti che nessun curatore o museo ha mai tenuto in considerazione e pertanto l’hype della tecnologia può falsare il reale valore dell’opera.

Una seconda categoria di NFT riguarda la rappresentazione digitale di un’opera d’arte fisica già esistente. In questo caso l’NFT è ancora difficilmente fruibile in quanto non ci sono dei supporti digitali adeguati che ne consentono il pieno godimento, o almeno commisurato al prezzo spesso troppo elevato del NFT.

La terza categoria è quella che ritengo più interessante e su cui lavoriamo da tempo. Si tratta di NFT che attribuiscono, ad un soggetto, particolari diritti (patrimoniali e non) o azioni connesse ad opere d’arte. Per esempio, a fronte di una tokenizzazione di un bene, un token che ha il diritto di possesso del bene reale o che concede di pagare o ricevere i dividendi. In sintesi, gli NFT sono strumenti, utili strumenti. Ma il valore sta sempre nel sottostante.

Conclusioni

Come visto, il mercato dell’arte ha conosciuto uno sviluppo negli ultimi anni, dovuto sia alla crescita della domanda che all’innovazione tecnologica. L’investimento in arte, d’altro canto, risulta potenzialmente benefico in un portafoglio, per via della sua decorrelazione dalle altre asset class oltre che alla sua bassa volatilità. Attualmente, però, esso risulta ancora appannaggio di pochi UHNWI. La tokenizzazione e la tecnologia blockchain promettono però una radicale riduzione dei limiti e dei rischi legate all’investimento in opere d’arte, rendendo il mercato accessibile a un pubblico molto più ampio.


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