Un confronto con Edoardo Levy, Founder di BZH Capital Partners

Il contesto di mercato

In un periodo di tassi bassi e valutazioni elevate, gli investimenti alternativi, ed in particolare i mercati privati (e.g. private debt, private equity, venture capital) rimangono un porto sicuro, il giusto bilancio tra la ricerca di extra rendimento e la necessità di contenere i rischi; tuttavia, il ciclo espansivo sta volgendo al termine e questo inevitabilmente impatta le aspettative future. Inoltre, le valutazioni del private equity, dopo anni di ottime performance, sono piuttosto elevate, lasciando presagire ritorni futuri più bassi e durate degli investimenti più lunghi.
Nel private debt, il progressivo allentamento delle condizioni richieste per la concessione dei mutui ha reso l’esposizione a certe tipologie di debito e classi di investitori nettamente più rischiosa: è giusto esporsi a queste classi di attivi ma si deve fare con attenzione e consapevolezza. In uno scenario come quello appena descritto, il private equity secondario può rappresentare un ideale compromesso tra la necessita di incrementare i rendimenti e quella di contenere il livello di rischio.

Il private equity secondario: caratteristiche e peculiarità

È ormai ben sviluppato un segmento del mercato di private equity i cui operatori, i cosiddetti “secondary private equity funds”, si sono specializzati nell’investimento in quote di fondi di private equity, o in portafogli di singole attività detenute dagli stessi. Un fondo di private equity secondario è un fondo di fondi dove il gestore acquista partecipazioni in private equity chiusi anni prima da investitori che, per varie ragioni, decidono di uscire anticipatamente.
La vendita delle quote di fondi sul mercato secondario si rende necessaria tipicamente per aggiustamenti dell’asset allocation degli investitori, per ridurre il numero di relazioni con i general partners o per necessità di funding del portafoglio alternativo. La dimensione del mercato secondario ha ormai raggiunto una grandezza ragguardevole, con asset under management intorno ai 300 miliardi di dollari alla fine del 2020. La liquidità disponibile a metà del 2020, il cosiddetto dry powder del secondario, era di 125 miliardi di dollari.

Fonte: “private equity: la prospettiva del secondario”, Oddo BHF Asset Management.

La vendita delle quote di fondi sul mercato secondario si rende necessaria tipicamente per aggiustamenti dell’asset allocation degli investitori, per ridurre il numero di relazioni con i general partners o per necessità di funding del portafoglio alternativo. La dimensione del mercato secondario ha ormai raggiunto una grandezza ragguardevole, con asset under management intorno ai 300 miliardi di dollari alla fine del 2020. La liquidità disponibile a metà del 2020, il cosiddetto dry powder del secondario, era di 125 miliardi di dollari.
Queste sono risorse effettivamente disponibili per gli investitori del mercato primario del private equity, nel caso essi decidano di disinvestire prima della liquidazione naturale del loro investimento primario. Tutto ciò contribuisce a una crescita molto elevata del mercato secondario. I fondi di secondario, ovvero i general partner che operano come provider di liquidità del mercato del private equity si sono evoluti da strutture assimilabili ai fondi di fondi (acquisiti successivamente al loro closing) a fondi con strategie di investimento complesse e diversificate. Anche gli interlocutori dei fondi stessi si sono evoluti, passando da limited partner (ovvero gli investitori dei fondi primari) sempre più frequentemente a general partner dei fondi primari.
Alcuni dei motivi legati all’aumento della popolarità dell’utilizzo del mercato secondario includono:

  • Riduzione della durata dell’investimento
  • Alta diversificazione: la possibilità di investire in più fondi permette di ottenere un portafoglio maggiormente diversificato per gestori, anni di lancio, geografie, settori industriali etc.
  • Visibilità sugli investimenti: un fondo di secondario, acquistando le partecipazioni in fondi che hanno già (o quasi) completato il periodo di investimento, permette di avere una visione chiara sulle società target di investimento riducendo così il fattore di incertezza.
  • Distribuzioni più ravvicinate: in un fondo di private equity tradizionale gli investitori solitamente ricevono le distribuzioni a partire, e non prima, del quarto o quinto anno. In un fondo secondario, le distribuzioni sono molto più ravvicinate andando ad abbattere la J-curve.

    Grazie alle sue caratteristiche, il private equity secondario è particolarmente indicato a chi si avvicina per la prima volta agli asset illiquidi; consentendo infatti di investire anche quote relativamente modeste, tipiche di chi inizia ma, godendo comunque di una elevata diversificazione. Inoltre, permette di puntare ai ritorni tipici del private equity (considerato un profilo di rischio e di volatilità più contenuto), spostando dunque verso l’alto la frontiera efficiente

Il private equity secondario: la visione di Edoardo Levy

Ritiene possano esserci degli svantaggi nell’esposizione e nell’investimento su fondi di private equity secondario? Quale dovrebbe essere l’approccio di investimento di un LP in tali fondi?

I fondi di secondario di private equity sono uno strumento di diversificazione molto importante all’interno del portfolio management di investitori sia istituzionali, e sempre di più, non istituzionali.

Tramite un fondo di private equity secondario l’investitore è in grado di costruire una esposizione ben diversificata, con maturità più avanzata rispetto ad un investimento tradizionale, e quindi con maggiore protezione del down side risk.

Un investitore potrebbe quindi analizzare l’investimento in tali strumenti in base alle qualità principali di un fondo di private equity secondario e quindi focalizzandosi su:

  • Profilo di maturità;
  • Diversificazione dal punto di vista geografico, di settori, di strategie e gestori;
  • Livello di sconto rispetto al NAV degli investimenti;

Tali fattori sono chiave nella comprensione del profilo economico dell’investimento sia in termini di aspettativa di distribuzioni ravvicinate nel tempo che dell’aspettativa di crescita del NAV nel tempo. Rispondendo alla domanda iniziale, se non altro vedo un vantaggio per l’investitore nell’aggiungere tali esposizioni in portafoglio, ancora in ottica di diversificazione e di creazione di un profilo distributivo più stabile nel tempo.

Dal punto di vista dei secondaries, nella Sua esperienza dal lato pre-IPO (Tech in questo caso), come ha visto cambiare l’interesse tra i diversi tipi di investitori?

Il mondo del tech pre-IPO è sicuramente in forte evoluzione. Specialmente nel mondo post Covid-19, l’incredibile ammontare di capitale disponibile combinato con bassi tassi di interesse e ritorni relativamente bassi di asset classes tradizionali, stanno creando un vuoto che il mercato normalmente agisce tempestivamente per colmare.

I tech pre-IPO sono tipicamente compagnie “late stage” focalizzate su “disrupting technologies” in grado di cambiare lo status quo di mercati, abitudini, prodotti che siamo stati abituati ad acquistare in una certa maniera tradizionalmente. Tali compagnie tendono ad avere valutazioni oltre il $1miliardo (Unicorni) e a volte ben oltre i $10 miliardi (Decacorni). Una combinazione di fattori mediatici, di disponibilità di capitali ingenti e di fattori macroeconomici stanno spingendo sempre più capitale verso questo tipo di investimenti. Non solo più quindi Venture Capital, ma sempre di più Hedge Funds, Fondi istituzionali, asset e wealth managers, family offices, fino agli HNWI sono coloro che si sono coinvolti direttamente con questa asset class.

I round di finanziamento pre-IPO stanno diventando addirittura forse troppo grandi per i tradizionali fondi VC, che si vedono nella scomoda posizione di doversi ritagliare uno spazio a stadi ancora più iniziali di seed e pre-seed per poter continuare a raggiungere certi traguardi di rendimento. Secondo noi, l’interesse di investitori meno istituzionali continuerà a crescere dando vita così a nuovi strumenti di investimento, ma anche a nuove strutture in grado di facilitare l’accesso a tali opportunità. Insomma, una vera e propria democratizzazione dei private markets è in pieno sviluppo sotto i nostri occhi.

Crede che il secondary trading possa velocizzare il processo di listing vero e proprio per i diversi unicorni?

Indirettamente si, nel senso che il secondary trading permette di espandere la liquidità di tali prodotti, e quindi permette ad investitori di diversa tipologia di accedere a tali opportunità di investimento. Questo, a sua volta, permette di espandere liquidità disponibile a round di investimenti precedenti ad un IPO, che in cambio permette alle compagnie di raggiungere obiettivi economici importanti anticipando tempi tradizionalmente più lunghi, consentendo così alla compagnia di arrivare ad un exit/listing in maniera anticipata. Ovviamente, non dimentichiamo che il secondary trading è un fattore tecnico che può giocare contro l’investitore nel momento in cui l’elemento fondamentale dell’investimento venga a mancare. Visti i tempi in cui ci troviamo, il vento spinge nella direzione di risk taking ma, non bisogna mai dimenticarsi del passato stando attenti a bolle speculative.

Quale crede essere il metodo più efficiente per ottenere liquidità sul mercato secondario pre-IPO (Private Placement, Brokers, Share Repurchase o Secondary Share Sales)?

Ci sono diversi modi di relazionarsi al mercato secondario, e la soluzione più efficiente dipende anche dalla dimensione dell’investitore, e dalle aspettative sul pricing e tipo di processo di esecuzione.

Si sono sviluppate diverse piattaforme di investimento per investitori accreditati o professionali (specialmente negli US). Queste permettono accesso per denominazioni minime ridotte, e tramite strutture standard (ad esempio master SPVs nelle Cayman Islands). Ovviamente, l’altra faccia della medaglia è che sono strutture tipicamente più costose per l’investitore, anche se spesso e volentieri l’unica scelta sotto una certa soglia di investimento minimo.

Se guardiamo invece al mercato più istituzionale il trading rimane ancora in vecchio stile, ovvero, tramite brokers ed introduzioni dirette tra compratore e venditore.

L’accesso ad azioni private di unicorni o decacorni è spesso non standard, e presenta svariate problematiche da affrontare nell’accesso:

  • se le azioni sono offerte con un direct transfer si pone il problema di “right of first refusal (ROFR)”, ovvero del diritto di prelazione offerto da tali compagnie ad investitori esistenti di poter comprare il blocco in vendita per primi. Tali processi tendono ad essere abbastanza lunghi (30 giorni), e possono risultare in un “niente di fatto” se il deal è troppo buono e qualche altro investitore esistente ha quindi la possibilità di esercitare l’opzione di prelazione. Oltre al ROFR si pone il problema dell’approvazione delle compagnie stesse che può anche questo richiedere del tempo (e a volte anche comportare costi di transazione aggiuntivi);
  • se le azioni sono offerte tramite veicoli gestiti da terzi, le problematiche da affrontare sono diverse e legate ad una diligence legale, di base tipica di queste situazioni, che include anche profili di tassazione a seconda di dov’è basato l’investitore ed il veicolo.

Al momento, quindi, il mercato continua ad operare puramente over the counter e tramite una fitta rete di relazioni tra intermediari, buyers e sellers istituzionali e non.

Ciò detto, stiamo sicuramente assistendo a tanta innovazione nel mercato del trading secondario delle pre-IPO shares, con numerose iniziative nella direzione di borse che sarebbero in grado di ridurre costi di accesso e di standardizzare tali processi.

Cosa ne pensa del rapporto tra l’incremento delle quotazioni sui mercati azionari dei fondi private equity e l’impatto sulla loro classificazione sottostante di “investimenti alternativi”?

Il mondo dei fondi di private equity è in costante evoluzione grazie all’enorme impatto che questi stanno avendo sull’economia globale.

Il fondo di private equity tradizionale non è forse ancora visto alla stessa stregua di una compagnia come lo sono General Motors o FCA, allo stesso tempo, però, gli investitori trattano investimenti pubblici in tali fondi come alternativi e non tradizionali.

A nostro parere, il ruolo del fondo private equity nel mercato è ancora oggetto di studio e comprensione da parte di investitori in mercati pubblici. È forse normale che la classificazione ad investimento alternativo non sia in sintonia con l’innovazione che tali fondi stanno portando al mercato, aprendo, per esempio, il loro azionariato ad investitori abituati storicamente a ben altro.

L’incremento delle quotazioni dei fondi di private equity sono anche legate all’enorme attività a cui stiamo assistendo nel mercato dei capitali istituzionali, dove un numero sempre maggiori di fondi di investimento stanno acquistando direttamente blocchi di interessi in altri fondi di private equity.

Crediamo che nel tempo l’attività nel mercato dei capitali combinata con il direct listing porterà ad una maggiore comprensione di tali assets da parte di investitori nei mercati pubblici, combinata con una maggiore razionalizzazione delle valutazioni di tali fondi.

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